15 marzo 2018

FICO e Bologna: un giorno alla ricerca del cibo

FICO e Bologna: la Fabbrica Italiana Contadina e la ricerca del cibo


Buongiorno Buongiorno!!

Vi sto scrivendo da una soleggiata e tiepida Venezia, con l’aria di primavera che ci accarezza il viso e gli uccellini che cantano sugli alberi.
Finalmente la luce e il caldo del sole ci caricano per affrontare al meglio la giornata.

Io ho deciso di inaugurare la bella stagione facendo una gita a FICO e Bologna.

Super elettrizzata, perché Marzo è il mese del formaggio a FICO, decido di farmi questo regalo e passare una giornata in mia compagnia in quel di Bologna.

Ormai saprete che io adoro il formaggio. Non ci sono dolci, pane o pasta che
tenga … il formaggio per me è come le ciliegie. Un pezzo tira l’altro.

Quindi con zaino in spalla, podcast che mi tengano compagnia per due ore, parto alla volta di Bologna.

Arrivo a FICO con la navetta e il sole che splende in un cielo turchese. 



Ci siamo!



Entro e noto con stupore che è tutto al coperto.

Mi faccio dare una piantina per orientarmi e cercare subito le mete che mi interessavano. A casa mi ero organizzata un percorso, prima di partire, per non perdere tempo.

Comincio ad incamminarmi.

Essendo le 10.30 di martedì mattina, ci sono poche persone. FICO ha aperto solo da 30 minuti.

Reduce dell’EXPO pensavo di trovare una fiumana di gente già all’alba.

E invece no.

Comincio a ricercare i luoghi dove vedere la produzione di ricotta, la filatura della mozzarella di bufala … avevo già l'acquolina alla bocca.


Scopro che il tutto si vedrà solo attraverso una vetrina.

Nessuno che spiega, nessuno che intrattiene o che ti incentiva ad assistere. Nessuna possibilità di vedere più da vicino, fare domande, “toccare con mano”.

Allora colgo l’attimo e mi fiondo nella “fabbrica” del Grana Padano, dove un ragazzo è arrivato appositamente per spiegarci come funziona la produzione del Grana e qualche altra curiosità.



Eravamo in 3. 
Oltre a me, 2 ragazzi di una scolaresca che avrebbero voluto essere ovunque ma non li.

Imparo che furono i monaci benedettini nel 1135 a produrre per primi quello che per noi oggi è il Grana. Originariamente era chiamato il Caseus Vetus, o formaggio vecchio. Ma la gente comune non conoscendo il latino, lo chiamò Grana per via della pasta granulosa.

Ho imparato che il caseificio a FICO del Grana Padano è l’unico di proprietà del Consorzio, per una questione di immagine e pubblicità. 


Tutti gli altri caseifici non sono del Consorzio Grana Padano, ma delle singole aziende che sono parte del Consorzio.


La caldaia presente a FICO tiene 500 litri di latte parzialmente scremato, dalla quale si ottiene solo una forma di formaggio. 
Solitamente le caldaie sono da 1000 litri di latte da cui si ottengono due forme.


Per i primi 15 minuti abbiamo assistito al riscaldamento del latte, l’aggiunta del lisozima, del siero innesto, del caglio; alla rottura e spinatura della cagliata e alla sua cottura



45 minuti dopo abbiamo assistito all’estrazione della cagliata e alla formatura nelle fascere.

Nonostante la presenza del disciplinare di produzione che fornisce le linee guida ai caseifici su come produrre il formaggio Grana, ho scoperto che ogni casaro ha un margine di manovra sulla quantità di caglio e siero mettere a seconda delle condizioni meteo, del latte e della sensibilità del casaro.


Alla fine il prodotto sarà nel complesso uguale da una caseificio all’altro. Ma se si guarda a livelli più piccoli, ogni caseificio produce un prodotto unico.

Per me tutto ciò è stato affascinante.  
Anche perché nonostante l’avessi studiato all’università, vederlo dal vivo è tutta un’altra cosa.

Se solo ci fosse stato lo stesso per le altre lavorazioni, sarei stata la bambina più felice di FICO. E, se vogliamo dirla tutta, metterci qualche assaggino….non avrebbe guastato.

DATEMI LA RICOTTA! SE DI BUFALA ANCORA MEGLIO!!!

Ehm, dicevamo.

Con tutto questo parlare di Grana, arrivano le 12.15 e cominciano ad arrivare un po’ di persone.



Cammino e cammino lungo la via principale di FICO in cerca di un posto dove mangiare.

Non che mancassero i ristoranti, bar, e chioschi. 
Io cercavo qualcosa di unico. Che solo a FICO potessi mangiare. E se teniamo a mente che poco mi interessa di pasta, patate e carne, mi si riduce la scelta.

Ma come sei complicata, Cristina!

A volte me lo dico da sola. Ma se so cosa voglio, prima o poi lo trovo, non ti preoccupare. Poi è un problema mio, eventualmente.

Se avete letto attentamente all’inizio, il percorso a FICO me l’ero costruito. 

E vuoi che non avessi già trovato dove mangiare? 

Dovevo solo trovarlo fisicamente.

Ed eccolo li, un angolo verde, un giardino al chiuso. ILGiardino. Cucina Mediterranea vegetariana e vegana.


Dopo aver chiesto consiglio al cuoco/proprietario, dopo aver letto e imparato a memoria il menù … perché ero leggermente indecisa su cosa provare … se non si era capito …  opto per due preparazioni in vasetto
Della cicoria saltata e le polpette di riso rosso, lenticchie e verdure su una base di hummus di ceci.

Sembra la legge del contrappasso di Dante. 
Ero andata a FICO per il formaggio, non ne trovo neanche mezzo e il pranzo è completamente vegano.

Qualcuno si sarebbe potuto abbattere, essere un po’ sconfortato per questo risvolto degli eventi. Ma non io. Ero in un buon mood. Di quelli che “il mondo cade e tu ti sposti”. Nulla poteva rovinare il giorno che mi ero dedicata.

Mi sono alzata da tavola contenta e soddisfatta.

Ho continuato un altro po’ a vagare per FICO. Ho visto come Balocco produce le mini colombe pasquali.


Ho letto come si ottiene il caffè a partire dalla pianta, grazie a delle lezioni interattive di Lavazza.

Ho visto più piante di cavolo riccio viola a FICO che sui banchetti del mercato.


Ho visto piante di cavolo nero che sembravano cespugli.


Ho visto la perfezione di madre natura in un cespo di radicchio non raccolto.


Ho visto un nuovo concetto di confettura di frutta realizzata sottovuoto per preservare colore e caratteristiche della frutta. 
Roboqbo, l’azienda produttrice, utilizza questa tecnologia per ottenere i loro prodotti  con il 75-80% di frutta, poco zucchero, pectina e succo di limone.
Il risultato? Una confettura che SA di frutta. Qualcosa di speciale.

Dopo aver fatto un giro da Eataly, il mio percorso a FICO era finito. 
Con un pizzico di delusione mi dirigo a prendere la navetta e tornare in quel di Bologna.

Essendo presto, decido di approfittare e vedere il centro di Bologna


La torre degli Asinelli e Piazza Maggiore.


Mi imbatto in Via Farini, ed è subito Monopoli!

Passo per la Pescheria Vecchia con le osterie-bar-taverne con i tavolini fuori pieni di turisti che piluccano qui e li da taglieri pieni di affettati e formaggi.


Dopo un caffè e una pastina per ricaricarmi, con le gambe pesanti e la schiena un po’ a pezzi, dichiaro conclusa la mia giornata a Bologna e mi dirigo in stazione.

Dopo aver attraversato il lungo e in largo 11 binari, salgo le ultime scale e mi adagio sul treno che grazie al cielo era in super anticipo.

Giudizio finale?

Mi aspettavo tutt’altra cosa. Mi aspettavo di poter toccare più da vicino questa Fabbrica Italiana Contadina. Mi aspettavo di poter confrontarmi, ascoltare e imparare direttamente dai “contadini” o dai “lavoratori in fabbrica”.

In realtà ho trovato principalmente punti di ristoro e pochi spunti per imparare e apprezzare quella che è la realtà alimentare italiana.

Di contadino ho trovato poco. Di italiano, molto, perché tutti i prodotti presenti all’interno erano eccellenze della nostra penisola.

Questa è solo la mia opinione. Che è l’esatto opposto di quello che ha sperimentato una ragazza del mio albergo e che mi ha dato l’incentivo per andare a vedere con i miei occhi.

Avendo interessi diversi, il focus di ognuno è concentrato su qualcosa in particolare, ed ecco che la stessa esperienza sarà vissuta in modo completamente diverso.

Fate anche voi la vostra esperienza.

Buona vita!