Quello che scrivo sono spesso riflessioni su cose che mi
sono personalmente accadute e se non altro servono a me come memento per il
futuro.
Tratto da una storia vera di questo gennaio.
Le persone e le etichette.
Etichettare qualcosa serve per renderlo più facile da
capire, conoscere, comprendere e classificare.
Le etichette semplificano la realtà e riducono il carico cognitivo di
quello che dobbiamo imparare di nuovo.
Le etichette possono essere aggettivi o caratteristiche.
Possono essere positive o negative.
Sono limitanti.
Sono superficiali perché descrivono in modo veloce sia noi
stessi sia l’altro.
Che lo si voglia o no, che ce ne rendiamo conto o no, quando ci viene data una etichetta ci conformiamo ad essa e ci comportiamo di conseguenza.
Quando io sono uscita dall’università di Scienza E Cultura
Della Gastronomia E Della Ristorazione, non ero un cuoco, non ero
nutrizionista, non ero tecnico alimentare, non ero chimico e nemmeno storico.
Ero una persona che sapeva diverse cose nell’ambito della gastronomia e della ristorazione.
Io avevo bisogno di trovare un cappello sotto cui stare, che
mi dicesse chi ero e validasse la mia scelta e il mio percorso.
Quando poi ho deciso di cambiare, ho ricominciato daccapo.
Chi sono? Cosa voglio fare? Perché voglio cambiare? Perché dovrebbero scegliere
me?
Ok, forse l’ambito lavorativo è un po’diverso.
Sta sia a noi
sia alla persona che abbiamo davanti essere abbastanza di ampie vedute e vedere
la persona che abbiamo davanti. La persona. Non l’etichetta.
Etichettare qualcuno porta anche a
minimizzare/screditare/ridurre (non mi viene la parola giusta) l’impegno della
persona nell’aver ottenuto un buon risultato.
Se tu mi dici “eh ma tanto tu sei brava, perché sei la
Cristina.” A me partono i 5 minuti, ma anche i 10 minuti, soprattutto se siamo
all’università prima di un esame di chimica. Tu non sai la fatica che io ci ho
messo nell’imparare quello che so e come lo so, il tempo che ho impiegato e le
cose che avrei potuto fare piuttosto che bilanciare reazioni.
Le etichette distinguono in bianco o nero. Ma noi siamo la
somma delle cosa che sappiamo fare, di come ci comportiamo, delle esperienze
che viviamo e come le affrontiamo.
Il tempo passa, cambia. Noi ci evolviamo con esso.
Non siamo statici.
Non siamo un’etichetta.
Ricordatelo per la prossima volta.
Grazie a chi mi ha fatto questo discorso perché come vedi mi
è rimasto impresso e ne avevo bisogno.
Until next
time, buona vita!